giovedì 30 gennaio 2020

La Narada – Nuova ipotesi sull’origine del mito


di Francesco Marcianò
Dalle acque dello Stretto fin su la cima dell’Aspromonte è tutto un susseguirsi di storie, leggende e miti. Storie di figure fantastiche, di eroi o di mostri arrivati da lontano oppure nati qui grazie ad intrecci nuovi. Sirene, ninfe, mostri marini, eroi di mondi imperfetti che hanno dato vita a pagine di libri, a leggende tramandate di padre in figlio. Misteri, soprattutto misteri della notte, del buio e del silenzio che scende tra le montagne dell’Aspromonte quando i pastori tornano stanchi alle loro abitazioni tenendo gli animali da pascolo al loro fianco seguiti dall’unico suono che si ode nella valle: l’eco di qualche campanaccio legato al collo di una capra che si dice serva a tenere lontano gli spiriti maligni perché è proprio al calare della notte che dimorano gli esseri più misteriosi, in queste zone tra pendii, rocce e precipizi attorno ai piccoli centri, ai paesi insidiati da creature sovrumane che vanno a complicare la già inclemente vita dei pastori; creature che seguendo gli spostamenti dell’uomo sono sopravvissute al mutare del tempo e alle condizioni sociali rappresentando il riflesso delle paure umane. Ed è proprio lungo il corso del fiume Amendolea, tra Gallicianò e Roghudi, nel cuore dell’Aspromonte greco, che alcune di queste creature trovano “spazio” e terrore nelle parole, nel timore della perdita: “un ragazzino che era al pascolo con le capre, non è ancora rientrato a casa, è tardi ormai, ìrthe i nìfta, den èchi lùstro ce pos canni ja na delèsci sto spìti…è arrivata la notte, non c’è luce e come fa a rientrare a casa?”.
La sentenza degli anziani è cruda, è triste: “o èppe o tu èfaghe i Naràda, o è caduto da qualche parte o l’ha divorato la Narada”.

Ma chi è la Narada?
E’ una donna bellissima, una di quelle creature notturne il cui immaginario è giunto fino a noi dai miti greci, bellissima ma con un unico difetto che la rende riconoscibile e quindi vulnerabile. I Naràde ene jinèke me ta pòdia ‘sce gadàra, le Narade sono donne con i piedi di asina ed è proprio questo particolare che le smaschera impedendogli di raggiungere i propri scopi. Ma quali sono questi scopi? La Narada è antropofaga, si nutre principalmente di bambini che cerca di strappare alle loro madri con ogni sorta di trucco e nello stesso tempo risponde al bisogno primario di “accoppiarsi” per procreare con gli uomini sposati cercando di ucciderne le mogli. Vittime sono perciò bambini, mogli e madri, ma pur essendo capaci di gesta sovrumane, di poter eseguire salti impressionanti, di volare su rami di sambuco, di possedere una forza incredibile e poter modificare la propria voce per fingersi all’occasione amichevoli cummàri, in tutti i racconti si rivelano poco intelligenti, poco scaltre. I loro dispetti e i loro tentativi di soddisfare quei bisogni primari che le spingono ad avvicinarsi all’abitato sono sempre vanificati da scuse spesso banali come si legge nei “Testi Neogreci di Calabria” (G. Rossi Taibi e G. Caracausi, Palermo 1994),  tra i racconti raccolti a Roghùdi: una Narada invitò una donna a lavare i panni al fiume, kummàre, purrò elàte na plìnome?  (commare domani mattina venite a lavare?) ma una volta arrivate lì la donna si accorse che quella in realtà era una Narada e le disse: kummàre, aminàte ‘mam bùndi, avlespetèmu ta rùcha ce to vrastàri, na pao fina sto spìti, jatì mu èmine ecì chàmme to kòscino ce mu to anascìzi to chirìdi, (commare, aspettate un momento, guardatemi la roba e la caldaia, affinché io vada fino a casa, perché mi è rimasto lì a terra il crivello e me lo straccia il porco).
Basterà questa scusa alquanto banale per smontare i piani dell’essere immondo. Rivelano quindi una intelligenza poco vivace e hanno bisogno di nascondersi nell’oscurità, si spostano infatti prevalentemente al calar del sole e scelgono di vivere lungo i corsi d’acqua dolce. Questa particolarità avvicina le Narade alle ninfe greche Naiadi, oltre all’evidente similarità sonora nel nome le accomuna l’essere abitanti dei fiumi, dei torrenti, a differenza delle Nereidi che abitano le “acque marine”. A tal proposito Michele Psello, filosofo bizantino nato a Nicomedia nel 1018 e morto tra il 1078 e il 1096, nel suo trattato “Le opere dei demoni” (ed. Sellerio, Palermo 1989), forse il più completo e noto del Medioevo, racconta di demoni che abitano i luoghi umidi e che si trasformano in uccelli o donne, i greci tali entità le chiamano Naiadi, Nereidi o Driadi tutte di genere femminile. Seguendo la mitologia greca Psello assegna le varie abitazioni indicando le acque marine per le Nereidi, le acque terrestri per le Naiadi e gli alberi per le Driadi. Considerando, quindi, che le Narade (dell’Aspromonte) abitano nei pressi di fiumi e acque dolci (come le Naiadi greche) e i nomi molti simili cominciamo a delineare lentamente la figura della Narada come unione del mito di origini greche portato fin qui dai greci e le successive modifiche dovute a condizioni antropologiche, ambientali e sociali.
Psello continua presentandoci i demoni che si aggirano per luoghi aridi, per lande inospitali (pensiamo alle rocche di Roghùdi, ai pendii di Gallicianò) e che si chiamano Onosceli. Questa figura è a mio avviso il tassello mancante, la chiave per spiegare la trasformazione e l’origine di un nuovo mito tutto aspromontano. Grazie a Onosceli. Infatti, possiamo spiegare la nascita dell’immagine fantastica della Narada e comprendere come questa sia frutto dell’unione di più miti arrivati fino a noi iniziando con i greci aspromontani.
Onosceli, letteralmente “dalle zampe di asina” (όνος + σκέλος), è una donna bellissima e ha in comune con le Narade la bellezza e la parte inferiore del corpo simile a quella di un’asina. E’ Plutarco a svelarci l’arcano, egli racconta che un tale Aristone Aristonimo da Efeso, figlio di Demostrato, a causa del suo odio verso le donne ingravidò un’asina, la quale poi quando fu il tempo partorì una bellissima fanciulla che fu chiamata appunto Onosceli, questo si legge in “Alcuni opusculi de le cose morali del diuino Plutarco” che a sua volta nomina la fonte in Aristotele, nel secondo libro delle cose mirabili.
Appare così evidente che i due miti, arrivati oralmente nelle terre di Aspromonte, ad un certo punto hanno dato vita alla Narada che perde i connotati della bontà (come per le Naiadi greche) e si trasforma in una creatura malvagia e del tutto istintiva. E’ curioso, altresì, sottolineare come a queste figure si possano avvicinare anche le Empuse, mostri soprannaturali femminili che avevano l’abitudine di terrorizzare i viaggiatori o chi percorreva i sentieri, a volte addirittura divorandoli. Potevano mutare l’aspetto per attirare i malcapitati ma a uno sguardo più attento mostravano dei tratti mostruosi che ne rivelavano la vera identità, come una gamba di sterco d’asina e una di bronzo. Tutte queste figure si riferiscono alla cerchia di Ecate.
Tornando, per un attimo ai racconti degli anziani, uno in particolare, riporta l’ordine nel caos, la luce nel buio e il bene vincitore sul male: è quello del ragazzino che si perde tra le montagne di Roghùdi, ma è proprio in quella condizione che riesce a scoprire il segreto che salverà l’intera comunità. Sottraendosi al destino di essere divorato, torna in paese e racconta tutto, chiede di far suonare le campane a mezzanotte e recitando una formula il ragazzino riesce ad uccidere tutte le Narade liberando il futuro dalla paura delle tenebre
ce otu epethànai òle, den mìni cammìa, ejàissa ta fàtti to ste ròkke abucàtu ston potamò*
(e così morirono tutte, non ne restò nessuna, caddero giù sulle rocce fino al fiume).
*Il fattùci mi è stato raccontato dalla compianta poetessa Francesca Tripodi, nativa di Chorìo tu Richudìu.

martedì 10 dicembre 2019

Il Bacco di Caravaggio

Si tratta di un dipinto realizzato con la tecnica di Olio su tela dall'artista Michelangelo Merisi, più noto come il Caravaggio, nel 1596-97. Nella mitologia romana Bacco è il Dio del vino e della vita. Corrisponde al Dioniso greco. Ad esso sono legati i famosi cortei festanti a cui prendevano parte uomini, figure mitologiche come i satiri e le baccanti, ovvero i Baccanali. Spesso vi si intrufolava qualche divinità, oltre allo stesso Bacco/Dioniso. Il culto di Bacco è stato ereditato dai romani dalla Magna Grecia dove era già in uso da tempi molto antichi. Esso è stato a lungo uno dei più importanti dell'antica Roma fino a che fu bandito nel 186 a.C. dal Senato per iniziativa di Marco Porcio Catone. Tale editto sanciva anche la distruzione dei Templi e la confisca dei beni.

Bacco - Caravaggio 1596-97

lunedì 9 dicembre 2019

Milone di Crotone

Milone, nativo dell'antica Kroton in Calabria, è stata una figura leggendaria della Magna Grecia. Visse nel VI secolo a.C. Di lui si racconta che fosse invincibile. Da solo portò alla vittoria l'esercito crotoniate contro la potente Sibari nel 510 a.C. Inoltre fu vincitore per 7 volte alle Olimpiadi nella categoria della lotta. Riportò numerose altre vittorie ai giochi Istmici, Pitici e Nemei. Milone fu anche genero del grande filosofo Pitagora, ne sposò infatti la figlia Myia. La sua morte fu un evento talmente sfortunato che molti artisti, sia pittori che scultori, vollero rappresentarla nelle loro opere.

Statua di Milone, città di Crotone (Calabria)
Si narra infatti che volendo dimostrare la propria forza tentò di aprire in due con il solo uso delle proprie braccia un tronco d'albero d'ulivo nel bosco sacro del Tempio di Hera Lacinia. La dea, per punirlo della sua sfrontatezza, lo privò delle sue forte ed egli rimase incastrato. L'eroe fu così sbranato da un leone.

venerdì 6 dicembre 2019

La Gorgone di Siracusa

Nell'antica Grecia e in Magna Grecia la Gorgone era una figura mitologica mostruosa, caratterizzata da un volto spaventoso e che al posto dei capelli aveva dei serpenti velenosi. Al di la del mito, che vuole che il mostro fosse capace di pietrificare coloro che la guardavano, ciò che è interessante è la quantità di oggetti provenienti dall'antico mondo greco e giunti fino a noi che riproducono questa figura. Essa aveva infatti un significato apotropaico, ovvero teneva lontano gli esseri demoniaci dalla propria casa (interessante è il caso della maschere apotropaiche di Seminara, piccolo borgo in provincia di Reggio Calabria, che ancora oggi vengono utilizzate a questo scopo). A Siracusa il culto della Gorgone era molto sentito. Una testa di Gorgone era rappresentata sugli scudi degli opliti ad esempio, ma anche sul timpano dei Templi.
Gorgone - Museo Archeologico di Siracusa

lunedì 19 agosto 2019

Eolo, Dio o uomo?

Molti di voi conosceranno questo personaggio mitologico grazie all'Odissea di Omero e al suo incontro con l'Eroe Odisseo. Eolo infatti lo ospitò nelle Isole Eolie durante il suo passaggio nel mare dell'Italia meridionale, soccorrendolo da una sicura morte a causa delle peripezie causate da Poseidone (furioso per l'uccisione del figlio Polifemo). Ma in questo caso Eolo ci viene presentato come un uomo, il re delle isole, e non come un dio, come ci riferiscono invece altre fonti. Igino (scrittore romano) ce lo presenta come figlio di Poseidone e di una mortale, Melanippe.
Eolo e Giunone - dipinto di Giulio Massari
Il padre della donna, anch'esso chiamato Eolo, scoperta la relazione col Dio, dalla quale nacque anche Beoto, fece accecare la figlia ed esporre i due bimbi su una montagna per essere divorati dalle bestie feroci. Furono però allattati da una mucca e salvati dal pastore Ippote. Secondo Diodoro Siculo invece, Eolo affidò Melanippe e i due bimbi ad uno straniero di Metaponto. Cresciuti ne conquistarono il trono ma si macchiarono di un orrendo delitto. Uccisero la moglie del padre adottivo (Autolita o Siri), dovendo così lasciare Metaponto. Furono accolti da Liparo re delle Isole. Eolo e Liparo divennero ottimi amici e conclusero un patto. Eolo aiutò Liparo a ritornare sulla penisola, da cui proveniva, e in cambio questi gli cedette il regno delle Eolie. Eolo sposò la figlia di Liparo, Ciane. Ebbero sei figli che regnarono su diverse zone della Sicilia e uno in particolare, Giocasto, si stabilì nel Sud della penisola fondando Reggio Calabria. Col Tempo Eolo si fece la fama di controllare i venti ed è per questo che lo incontriamo così nell'Odissea di Omero.

lunedì 19 novembre 2018

Eros, l'amore per gli antichi Greci

Contrariamente a quanto non facciamo noi, o non facessero i romani, per i greci esistevano diverse parole per indicare il sentimento di amore, in particolare essi parlavano di eros e di philìa.

Oggi, nel greco moderno, esistono sempre diverse parole, ma philìa (φιλία) indica il sentimento di amicizia, erotas (έροτας) indica l'amore passionale e agàpi (αγάπη) indica il voler bene a qualcuno.

Eros, dio dell'amore passionale, era una delle divinità più antiche per i greci, nato dopo il Caos e la Terra (secondo la Teogonìa di Esìodo, VIII secolo a.C.).



Nel periodo classico Eros è visto come il figlio di Afrodite, dea dell'amore, e di Ares, Dio della guerra.

Eros quindi si divertiva a scagliare frecce a destra e manca, gettando i greci nelle passioni più incontrollabili.

I Greci non avevano la stessa concezione di altri popoli riguardo all'amore. Basta pensare che il matrimonio era spesso per essi solo una questione di convenienza economica e la moglie, con cui c'era un sentimento di philìa e non di eros, era solo uno strumento per procreare.

Ciò non deve essere considerato come un aspetto rilevante di un mondo maschilista, ma semplicemente va inquadrato nel contesto del tempo in cui fu concepito e assolutamente non paragonabile ai nostri tempi.

martedì 23 gennaio 2018

La schiavitù ad Atene nel V secolo a.C.

Nel 431 a.C la popolazione ateniese contava circa:

50 mila cittadini atteniesi
25 mila stranieri residenti (metèci)
100 mila schiavi
gli stranieri prestavano servizio militare e avevano gli stessi o quasi diritti degli ateniesi ma non potevano contrarre matrimonio con ateniesi.
gli schiavi non avevano alcun diritto e il filosofo Aristotele li definiva "una proprietà animata".
Erano soprattutto prigionieri di guerra, quasi sempre barbari (come i greci definivano i non greci).
Era ritenuto immorale fare schiavo un greco sebbene accadesse.
L'economia di Atene era totalmente basata sugli schiavi. Lavoravano nelle miniere, nelle officine di armi.
I più poveri non possedevano quasi mai schiavi e ad essi sostituivano il mulo o il bue nei lavori agricoli.
Gli schiavi però non erano trattati male come dai romani.
Per i greci era vietato picchiarli e secondo uno storico del periodo a volte vestivano meglio degli ateniesi tant'è che era spesso possibile confonderli.
A volte gli schiavi mettevano abbastanza denaro da parte per comprare la propria libertà e spesso rimanevano ad Atene come liberi cittadini.

giovedì 4 gennaio 2018

La nascita di Dioniso

Dioniso (in greco attico: Διόνυσος; in greco omerico: Διώνυσος) è una delle divinità più antiche della terra. 
Lo conosciamo nella sua rappresentazione classica e poi in quella dell'arte moderna ma il suo culto ha radici antichissime. Per i greci era il dio dell'essenza vitale che scorre negli esseri viventi e nella vegetazione, poi ha finito per essere venerato, specie con i romani, come dio del vino e dell'estasi.

Ma come nasce Dioniso?

Ovviamente saprete tutti che Dioniso è figlio di Zeus e di una mortale, Semele.
Semele era la figlia del leggendario re di Tebe, Cadmo. Semele era una donna bellissima e Zeus fece di tutto per conquistarla. Il loro amore veniva consumato in segreto.
Ma Era, moglie di Zeus, quando scoprì la relazione del marito con Semele andò su tutte le furie e iniziò a pensare ad una tremenda vendetta.
Assunse quindi le sembianze della nutrice di Semele, Beroe, e convinse la ragazza a fare una richiesta molto strana a Zeus, quella di mostrarsi così come si mostrava alla moglie Era, in tutto il suo splendore con la folgore lucente in mano.

Durante un loro incontro Zeus pazzo della bella Semele le promise di realizzare ogni suo desiderio pur di vederla sempre felice. Semele riferì allora il consigli della nutrice.
Il re degli Dei si rattristò molto perchè sapeva che non era possibile per un mortale resistere alla visione della folgore divina. Ma aveva promesso a Semele si esaudire ogni suo desiderio.


Cercò di dissuaderla dal suo intento rivelando che sarebbe stato mortale per lei il risultato. Ma Semele, piena di dubbi per le parole riferitegli dalla nutrice, insistette.
Così Zeus non ebbe scelta e alla visione della folgore la ragazza cadde fulminata.

Il loro amore però aveva già data i suoi frutti. Semele portava in grembo Dioniso. Zeus salvò il bambino creando nella propria gamba una sacca del tutto simile a quella della madre in modo che lì completasse i 9 mesi della gestazione.

Quando nacque Dioniso, Zeus lo affidò a Sileno, un satiro famoso per la sua saggezza.
Parleremo in un altro post del problema dell'identificazione del Dio Dioniso con Zagreo (figlio di Zeus e Persefone) che sarebbe stata una divinità precedente ma poi inglobata in quella di Dioniso. 

giovedì 30 novembre 2017

Misteri Eleusini

In greco Ἐλευσίνια Μυστήρια, erano dei riti religiosi che si svolgevano nella città di Eleusi nel santuario della dea Demetra e avevano cadenza annuale.
I riti si svolgevano già nel periodo miceneo (XVI secolo a.C) e si estero in tutta la Grecia solo quando Eleusi divenne dominio ateniese. Ebbero una diffusione anche in Occidente dove gli Imperatori romani ne presero parte (Adriano e Marco Aurelio sicuramente).

Cosa si celebrava nei riti?

I riti Eleusini venivano cerimoniati in ricordo del ratto di Persefone, figlia di Demetra, da parte del dio degli Inferi, Ade, e si articolavano in tre fasi:

1. la discesa
2. la ricerca
3. la salita o ascesa (il ritorno sulla terra)

I riti si svolgevano in due peiodi: in primavera ("piccoli misteri") e in autunno ("grandi misteri"). Nel complesso descrivevano l'alternarsi del riposo e della vita nelle campagne.
I riti erano segreti e gli iniziati credevano che avrebbero ricevuto la ricompensa dopo la morte. E' probabile che durante i riti si facesse uso di funghi che alteravano le sensazioni come testimonierebbero alcuni affreschi antichi.

Dove si svolgevano?

Tra Atene ed Eleusi. 
Agli iniziati veniva richiesto di sacrificare un maialino (primo giorno), mentre il secondo giorno era l'arconte Basileus di Atene che eseguiva il grande sacrificio.
I riti continuavano la notte con danze e scene che richiamavano la ricerca di Persefone con la fiaccola da parte di Demetra. Il cuore però dei riti è rimasto oscuro.

I riti furono celebrati fino al 396 d.C quando i Visigoti, guidati da Alarico, distrussero il Tempio di Demetra.

giovedì 1 dicembre 2016

Il consumo del Vino nel Simposio: verità e luoghi comuni


Il vino era una bevanda divina nell'antichità.
Furono i Micenei a diffonderne la Cultura in tutto il Mediterraneo.
Già il Sud Italia veniva chiamato Enotria, la terra del Vino. Qui, Ausoni ed Enotri e poi con il processo di ellenizzazione svilupparono la Coltura e la Cultura del Vino, la bevanda prediletta dal Dio Dioniso.

Il Simposio era un momento sacro per gli antichi greci. Il vino era lo strumento attraverso cui il Simposio si realizzava perfettamente.
Il Vino non veniva mai bevuto puro, ma mescolato con acqua nelle proporzioni 2 a 3. Ciò affinchè i partecipanti rimanessero lucidi nelle discussioni che si affrontavano.

Era il Simposiarca a stabilire le proporzioni di acqua e vino, quante coppe ogni partecipante poteva bere e dava la parola nelle discussioni.

Il Simposio era tutto e niente: era momento di discussione politico-civile-filosofica, era momento per stringere alleanze e fare programmi, era momento di divertimento, era anche un momento erotico etero-omosessuale, ma anche della derisione scherzosa.

Ovviamente il Simposio non era mai fine a se stesso. Gli antichi greci credevano molto nel concetto di confronto intellettuale finalizzato al miglioramento di tutte le parti in gioco. E da questo punto di vista possiamo vedere il Simposio anche come un momento istruttivo.

Il Vino nel Simposio gioca il ruolo di inibitore e predispone i partecipanti alla conversazione.
Letteralmente Simposio deriva da due parole greche arcaiche:

syn + pìnein = bere insieme

Ma quanti erano i partecipanti al Simposio?

In base alle testimonianze pervenute sembra che il numero dei partecipanti al Simposio dovesse errere compreso tra il numero delle grazie e il numero delle Muse (3-9).

Il Kline

Si tratta del lettino (il termine è ancora in uso in alcuni paesi di Creta), sui cui si sdraiavano i convitati. In Grecia si usava un kline per due ospiti mentre a Roma ogni ospite aveva il suo lettino.
I letti erano disposti secondo le mura perimetrali della stanza del Simposio, poichè al centro si trovavano dei tavolini con le pietanze offerte dal padrone di casa e il cratere contentente il vino mescolato ad acqua.

Le donne al Simposio

Le donne sposate o comunque libere non erano ammesse ai Simposi. Sono le "etere" ovvero le donne non sposate per scelta potevano partecipare e offrire i loro servizi ai simposiasti.

Musici e ballerini

Adolescenti musicisti e cantanti allietavano gli ospiti con spettacoli musicali.

mercoledì 4 novembre 2015

Eros si diverte

Una palla color di porpora
Mi getta Eros dai crini d'oro,
E a giocar mi tenta con una fanciulla
Dalle variopinte scarpette.
Ella però, che è della culta Lesbo,
Il bianco mio capo disdegna:
Per una femminea chioma sospira.

-- Anacreonte --
in questa poesia, recitata come era solito fare durante i Simposi, il poeta greco Anacreonte esprime il suo rammarico per il fatto di non essere più apprezzato dalle giovani fanciulle greche che sono attratte invece dai giovani dalle belle chiome.

mercoledì 8 aprile 2015

Arte Etrusca - Il Sarcofago degli Sposi di Caere

VI secolo a.C

Gli Etruschi sono una straordinaria civiltà che occupò l'Italia Centrale dall'VIII secolo al III secolo a.C quando furono sconfitti dai romani.
Il culto dei morti era uno degli aspetti principali di questa civiltà. Questo tipo di sarcofago, meno comune rispetto alla tomba a Cassa, rappresenta l'importanza dell'unione familiare anche dopo la morte.
Il Sarcofago ritrovato a Caere è conservato al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma.

martedì 31 marzo 2015

Agrigento e i suoi eccessi

Agrigento (Akragas) nel V secolo a.C era una delle più belle città del mondo. Il poeta Pindaro la definì la più bella città dei mortali. Il Filosofo agrigentino Empedocle diceva dei suoi concittadini che vivevano come se ogni giorno fosse l'ultimo della loro vita.
La città era talmente ricca che nel cimitero monumentale venivano sepolti perfino i Cavalli con i Cavalieri.
La città era ricca di opere d'Arte, oltre ai magnifici Templi.
Il Tempio di Zeus Olimpio, che non fu terminato a causa dell'attacco cartaginese, era immenso, molto più grande del Partenone.
Nel Museo di Agrigento sono conservate le statue colossali che reggevano la trabeazione del Tempio oltre che testimonianze uniche come i vasi genericamente indicati come del "Pittore di Agrigento".

Testa di Basilea

V secolo a.C, Museo Archeologico di Reggio Calabria
Questa scultura in bronzo di cui ci è pervenuta solo la testa poichè fu distrutta dai romani per recuperare il bronzo era forse collocata nell'Agorà di Reghion, nome greco di Reggio Calabria.
Tra i probabili autori sono stati considerati Fidia e Pitagora reggino.
La figura rappresenta con ogni probabilità un personaggio di spicco del mondo Magno Greco, probabilmente un Tiranno reggino (potrebbe trattarsi di Anassilao il tiranno che portò Reggio al massimo splendore) oppure una divinità.

martedì 24 marzo 2015

Dionisio di Siracusa

342 a.C Corinto
Un uomo è stato appena malmenato in una taverna per aver difeso una prostituta..gettato in mezzo alla strada fu soccorso da un buon uomo che sebbene lo vedesse mal ridotto e vestito di stracci aveva intuito la sua provenienza regale...
Gli chiese chi fosse e da dove venisse...
" mi guadagno da vivere insegnando a leggere e scrivere...ma un tempo fui il signore della più grande e ricca città del mondo "
il buon uomo fece un sorriso credendolo pazzo.." e io sono il gran re di Persia.."
ma lui continuò.. " e mio padre è stato il più grande uomo del nostro tempo "
.." che cosa vai raccontando..piuttosto cos'hai in quella bisaccia.." insistette il soccorritore
"nulla che valga la pena di essere rubato..c'è la sua storia. La Storia di un uomo che divenne padrone di quasi tutta la Sicilia e di gran parte d'Italia, sconfisse i barbari in diverse battaglie, inventò macchine da guerra che non si erano mai viste, deportò intere popolazioni, costruì la più grande fortezza del mondo in soli tre mesi, sposò due donne nello stesso giorno...unico tra i greci"
l'uomo incuriosito.."per gli dei! e chi sarebbe quest'uomo"
lui strinse la sua bisaccia al petto: " Il suo nome era Dionisio, Dionisio di Siracusa. Ma il mondo intero lo chiamò...il Tiranno "
http://www.bookville.it/Libro/Dettaglio?ISBN=9788804546252